La Nuova Sardegna

Nuoro

Caccia grossa a Baunei fra passione e goliardia

di Giusy Ferreli

Ogni compagnia ha un soprannome: dai “maleducaus” ai “pannolinus”

22 maggio 2017
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BAUNEI. La caccia grossa in Ogliastra è una faccenda seria, anzi serissima. Ha le sue regole ancestrali e un codice di comportamento e guai a sgarrare: si è fuori dal consesso venatorio in un battibaleno. È un rito tribale che celebra l’antichissima lotta dell’uomo per la sopravvivenza, il cinghiale viene scovato dalla macchia e inseguito dalle mute dei cani e dai battitori. Che con le loro grida sospingono l’animale verso le poste. Qui ad attenderlo ci sono i cacciatori con i fucili spianati: qualche volta sbagliano, ma più spesso colpiscono il bersaglio.

Sa cassa manna. Questo rituale antico e cruento non impedisce ai cacciatori di Baunei di lasciarsi andare in un campo a loro particolarmente congeniale, quello dell’umorismo. Basta davvero poco per capire quanto l’aspetto ludico sia legato a quello rituale. Basta sapere come vengono definite le compagnie per comprendere quanto si riesca a sorridere anche di una faccenda terribilmente seria come “sa cassa manna”. Tanto per iniziare ci sono “Us maleducaus”. Il sodalizio, salito di recente alla ribalta della cronaca per avere dipinto di rosa un girarrosto al passaggio del Giro d’Italia, è guidato da Fiorenzo Bangoni. Il capocaccia regge le sorti di una squadra che conta una quindicina di cacciatori. Ci pensa lui a raccontare come, ormai trent’anni orsono, venne affibbiato quel nomignolo che ancora li accompagna. «Solitamente – spiega – quando le compagnie si incontrano di buonora per prendere posto sul territorio, si scambiano i soliti convenevoli. Una volta però capitò che alcuni nostri cacciatori, alla domanda rivolta dai nostri avversari su cosa intendessero fare, risposero, in malo modo, che avrebbero fatto il cavolo che li pareva». Una risposta non proprio cortese, anzi abbastanza irriguardosa che rimase negli annali. Da quel momento, per tutti, i cacciatori guidati da Bangoni sono “i maleducati”.

«Adesso cerchiamo di comportarci meglio», dice ridendo il capocaccia.

I precursori. Ci sono poi quelli di “Us terranoas”. È la più antica compagnia, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Viene considerata l’aristocrazia baunese della caccia grossa, il nome deriva dal soprannome dell’anziano ed esperto capocaccia, Pietro Pusole, detto appunto “Terranoa”. «Quelli sono nati per andare a caccia», commenta, ancora una volta col sorriso in bocca, Bangoni. E poi ci sono loro, un gruppo di giovanissimi appassionati che, appena preso il porto d’arma, hanno deciso di ritagliarsi uno spazio. La voglia di autonomia si è subito scontrata con i lazzi dei cacciatori più anziani che hanno trovato l’epiteto giusto. E così i “giovincelli” che hanno deciso di costituire una loro squadra sono stati ribattezzati “Us pannolinus”.

Simbolo di fertilità. E che dire ancora dell’episodio goliardico che ha dato lo spunto per un nome, “Ar mincas”, che rasenta la volgarità? Si racconta che un piccolo gruppo di appassionati delle battute al cinghiale, appartenente alla stessa compagnia, stesse andando a una festa di nozze. Come nelle migliori consuetudini si era attrezzato per lo scherzo tradizionale, ovvero aveva confezionato un organo genitale maschile per il rito che, durante i festeggiamenti, serve a propiziare fertilità e ricchezza per gli sposini.

Fatto sta che il bagagliaio della macchina sulla quale viaggiavano era pieno di sculture falliche intagliate nel legno.

In paese si racconta, ridendo, dello stupore che apparve sui volti delle forze dell’ordine quando, durante la perquisizione videro il corredo di falli. A Baunei, la compagnia continua a chiamarsi così, ma, per questioni di decoro, soprattutto da quando si è deciso di organizzare la sagra della carne di cinghiale, sono dovuti correre ai ripari. Lo racconta il loro capocaccia Nicola Tegas. «Non potevamo presentarci al grande pubblico con quel nome e ci siamo ribattezzati “Armi in casa-Forrola”», fa sapere Tegas. Un gioco di parole che nulla toglie alla salace ironia.

Gli improvvisati. Ci sono, infine, quelli di “Ar bustas” . Radio paese dice che una volta vennero intercettati con delle buste di plastica anziché con la tradizionale bisaccia di cuoio che serve per portarsi appresso il pranzo. Anche in quell’occasione il nomignolo è rimasto come un marchio indelebile.

Il premio al contrario. Gli sfottò non si fermano neanche la sera, al ritorno dalla battuta di caccia quando, magari, ci si ritrova a bere assieme e a raccontare le proprie prodezze. E continua con la celebrazione di un vero e proprio torneo che dura per tutta la stagione venatoria, “La padella d’oro”. A vincere non è il cacciatore che abbatte più cinghiali, ma quello che ne sbaglia di più. Quest’anno il trofeo se lo è aggiudicato Salvatore Canu, de “Us maleducaus” che ha accettato senza batter ciglio anzi con una buona dose di autoironia il poco ambito riconoscimento. E sì, sulla caccia grossa si può ridere e scherzare quanto si vuole, ma in Ogliastra, e a Baunei, è una cosa seria. Su una questione, infatti, i cacciatori non intendono scherzare: sulla tutela del territorio. Esiste un regolamento non scritto che viene tramandato di generazione in generazione. Il primo comandamento è quello del rispetto, sacro, del territorio che dicono in coro i cacciatori delle diverse compagnie va salvaguardato. Sia che ci si trovi nel vasto altipiano calcareo di Golgo o che ci si avventuri nelle codule che portano al mare o nei meandri delle foreste incontaminate non c’è spazio per gesti di inciviltà.

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