La Nuova Sardegna

Nuoro

Il cuore di Armando Cheri batte forte anche dopo la morte

di Francesco Pirisi
Il cuore di Armando Cheri batte forte anche dopo la morte

Sarule ricorda i rapporti continui dell’artista scomparso a Venezia con il suo paese d’origine Agli studenti delle medie amava dire: «Ritengo la Sardegna la terra più incredibile di questo mondo»

21 marzo 2017
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SARULE. Il segno degli artisti è di unire la terra delle radici alla fecondità del globo. Parte da questo fondamento l’opera di Armando Cheri, da Sarule, dapprima soggetto chiamato all’ideazione e quindi scultore. Due istanti che si sovrappongono presto, per fondersi in quelle creazioni fatte di traiettorie che tendono all’eterno, sopra visi ancestrali, di figure dell’agone terreno, con il carico di umano e immanente. Immagini viste nelle mostre a Sarule e così nella penisola, a iniziare dalle sale di Venezia, dove Armando ha vissuto per alcuni lustri, portatovi dagli impegni di militare della Finanza. Prima di quella fatale giornata di inizio di marzo, quando una emorragia cerebrale l’ha strappato all’affetto di parenti e amici, a soli 55 anni. I familiari hanno autorizzato l’espianto degli organi, come ultimo dono di un artista che con la sua opera ha messo al centro i valori dell’esistenza.

Tra un’esposizione e l’altra, quattro anni fa l’occasione per scambiare con la scuola media di Sarule, e l’insegnante di Lettere Sonia Ignazi alcuni pensieri e riflessioni sull’attività nell’arte, con privilegio per quella parte alimentata dai luoghi e suoni dell’infanzia, dal legame con il padre, istintivo e creatore anch’egli, con i tratti propri di una famiglia intera. Uno scambio di idee tra compaesani e generazioni, con al centro l’arte, la vita, il legame con la propria gente, delle volte impercettibile in una società imperniata su schemi diversi dal passato. Prima, nelle curiosità degli studenti, la domanda ad Armando sui fondamenti della scultura: «Ragazzi cari, penso e credo che artisti si nasca. Ognuno di noi in fondo lo è, ma è necessario che ne prenda consapevolezza. L’intelligenza custodisce il segreto affinché si riesca a scoprire questo lato della propria personalità. Con la preparazione e il sacrificio si possono affinare le tecniche per permettere alla creatività di prendere forma». L’altro motivo che i ragazzi della scuola sarulese sottopongono alla riflessione di Armando Cheri è quello sulle origini umane e sociali, sempre nell’esito dell’opera d’arte: «Ritengo la Sardegna la terra più bella e incredibile di questo mondo. È una fortuna per me esserci nato e averci vissuto l’infanzia. Una terra aspra e selvaggia, che ti forgia nel carattere e permette di crescere sano nei valori e nei princìpi, capaci in seguito di fare la differenza. Mi ha insegnato ad ammirare la forza della sua natura, ad ascoltarne i sussurri, così come a coglierne i lamenti, quando a essa si manca di rispetto». L’isola di Sardegna, la gente di Sarule, quella dei contadini (“massajos”) di Lule, il rione della famiglia di origine di Armando, dove nei secoli gli abitanti sono vissuti come comunità, fraterna e solidale. Mondi e stagioni entrati nella mente del giovane, prima della partenza per la carriera militare a Venezia, città molto diversa dal paese di Barbagia, ma capace anch’essa di accogliere e integrare. La conferma di Armando agli studenti: «Venezia è di diritto la città degli artisti e io mi trovo molto bene. Una località turistica, frequentata in maniera continua da tante persone, di tutte le razze, provenienti da ogni parte del mondo. Questo permette, a chi ci vive, di allargare le proprie vedute. Venezia e il Veneto sono il motore dell’Italia produttiva. Qui la competizione fa bene al prodotto e lo rende migliore. Tutti studiano e si danno da fare per realizzarsi. Ecco, se c’è una cosa che vorrei trasmettervi è proprio questa: studiate e impegnatevi, senza invidie reciproche e senza pensare che le cose arrivino dal cielo». Insegnamenti vissuti e appresi, per i compiti di padre, professionista, per l’attività di creatore, poi idealizzati nelle sculture, scolpite nel ginepro, luccicante e forte, come spesso lo è in modo distinto il corredo della terra sarda.

Prima di chiudere la chiacchierata con la scuola, l’artista di Sarule di quelle opere cita i nomi e i caratteri: «Credo e spero che siano tante le sculture che mi rappresentino. Ne cito qualcuna: “Rapace con preda”, “La fenice”, “Mio Padre in volo”. La prima, con l’immagine dell’aquila, è una metafora delle virtù in cui confido: la vista per vedere, la fede per credere, il coraggio per agire. La fenice, poi, ossia l’uccello mitologico che resuscita dalle sue ceneri: per chi è credente, e io lo sono, rende l’idea della vita, nella quale si può anche cadere, ma bisogna rialzarsi più saggi, più forti e determinati di prima. La terza è quella alla quale sono più legato, in quanto rappresenta mio padre, per quello che è stato, che era e per quanto di importante mi ha trasmesso».

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