La Nuova Sardegna

Nuoro

L’aquila ritrova la sua casa nel nido di Arcu ’e chelu

di Luciano Piras
L’aquila ritrova la sua casa nel nido di Arcu ’e chelu

A tu per tu con il grande rapace in una galleria di granito nei monti del Nuorese Il racconto appassionato di tre amici documentaristi e fotografi naturalisti

02 dicembre 2016
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NUORO. La forma che madre natura gli ha dato è davvero singolare: sembra una lama di roccia curva come un arcobaleno che si apre alle meraviglie del mondo. Come fosse una grande finestra che domina dall’alto, in solitaria ed eterno silenzio. È lì, dentro quella galleria di granito a doppio ingresso e a un dito dal cielo, che trova riparo un nido d’aquila. «Lo abbiamo battezzato Arcu ’e chelu». Arco del cielo. Arcobaleno, appunto, ricordano Antonio Pisanu, Marco Lutzu e Antonello Lande, nuorese il primo, di Orani gli altri due, documentaristi, fotografi, naturalisti soprattutto. Sempre emozionati quando parlano di quel maestoso rifugio sul tetto di Nuoro e del Nuorese. Peccato che allora fosse sbarrato dalla mano dell’Homo sapiens! «In verità nella placca a ponente della roccia, vi era anche un secondo nido molto più vecchio e sicuramente non più praticato da tantissimi anni: forse perché più facilmente accessibile» raccontano i tre amici, senza mai dare un dettaglio in più che possa mettere a rischio la famiglia delle aquile.

«Sul nido di Arcu ’e chelu avevamo puntato il binocolo già da fine ottobre del 2011 e subito avevamo notato il motivo che lo aveva reso inagibile per le aquile: era ostruito da un intrico ben architettato di ginepro e fillirea» sottolinea Pisanu. I rami ormai privi di foglie mostravano chiaramente i segni della roncola, evidente che anni prima un capraro disperato ma ingegnoso aveva deciso di allontanare in quella maniera la coppia di “predoni”. «Ora il problema capretti in quella zona non esiste più, quindi la decisione era stata immediata e al primo giorno libero disponibile, con la sicurezza che infondono corda e discensore, non è stato difficile liberare la grotta e restaurare il nido in modo certosino tale da renderlo di nuovo attraente per la regina dei cieli» spiegano in coro Pisanu, Lutzu e Lande. «Purtroppo, per quell’anno le aquile avevano già scelto un altro sito per nidificare – vanno avanti i tre – ma nel 2012, 2013, il cannocchiale svela la presenza di tenere frasche verdi e una coda che lasciava pochi dubbi: il nido era occupato. Temendo di disturbare, decidiamo di accostarci al nido una sola notte e un giorno usufruendo di un capanno costruito circa due anni prima. Di comune accordo avevamo deciso che un simile capolavoro meritasse un’attenzione speciale». Pisanu e Lande filmano mentre Marco Lutzu scatta alcune foto. Riesce persino a inquadrare il brivido dell’involo del pulcino. Le immagini vengono poi esposte in una mostra fotografica personale a Orani. «Più in là, ai primi di ottobre, disfiamo il capanno ma con un valido cannocchiale continuiamo a seguire nel tempo l’evolversi della storia. L’anno seguente, 2013, 2014, di nuovo un pulcino che si invola. Nel 2014, 2015 le aquile cambiano sito, però anche quell’anno allevano un pulcino che vediamo in volo nella zona e nel 2015, 2016 rioccupano Arcu ’e chelu e allevano due pulcini». Due piccoli rapaci pronti alla vita che Antonello Lande filma affacciati sul ciglio del nido: la distanza di ripresa è a dir poco siderale ma l’intento è solamente quello di avere un documento. Peccato che qualcuno ne approfitti, che un gruppo di fotografi cerchi a tutti i costi la primogenitura della scoperta. «La cosa non ci entusiasma molto – chiudono Pisanu, Lutzu e Lande – ma come amanti della natura siamo profondamente soddisfatti per aver scoperto e ripristinato un punto di nidificazione che merita veramente di essere osservato con estremo rispetto da tutti coloro che hanno la malattia dei rapaci».

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