La Nuova Sardegna

Nuoro

la tragedia di cala gonone

Bambino morto in piscina, il racconto dell’ultimo teste

NUORO. «Ho sentito l’urlo di una donna, poi ho visto qualcuno che si buttava in piscina. È stata una cosa immediata. Sono passati diversi anni, è questo che ricordo». Cinquantatrè anni, originario...

12 dicembre 2015
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NUORO. «Ho sentito l’urlo di una donna, poi ho visto qualcuno che si buttava in piscina. È stata una cosa immediata. Sono passati diversi anni, è questo che ricordo».

Cinquantatrè anni, originario di Ancona, l’8 settembre del 2008, Roberto Bonini prendeva il sole tranquillo sul bordo della piscina del Parco blu club hotel di Cala Gonone, e tutto sicuramente si aspettava tranne che diventare uno dei testimoni chiave di una straziante tragedia familiare che avrebbe distrutto per sempre una famiglia del Veronese.

«Ero in vacanza con la mia famiglia – racconta ieri mattina, davanti al giudice monocratico Mauro Pusceddu – eravamo ai bordi della piscina, abbiamo sentito un urlo, era la mamma del bambino, il bambino era riverso in piscina». «Era il primo pomeriggio, tra le 15.40 e le 15.45 circa», aggiunge poco dopo, Bonini, rispondendo a una sollecitazione del pm Giorgio Bocciarelli. Mentre rispondendo alle domande di uno degli avvocati, Antonello Cao, che insieme al collega Mercatelli tutela i genitori del bimbo morto, Massimiliano Castellini, il teste Bonini spiega che tuttavia non aveva l’orologio. L’elemento dell’orario, del resto, è proprio uno di quelli attorno ai quali si giocherà il processo che oltre ai genitori del bimbo, vede come imputato anche il bagnino della struttura, Simone Accardo: stando agli elementi emersi finora nel corso delle udienze, infatti, la piscina dell’hotel di Cala Gonone era coperta dalla presenza di un bagnino a partire dalle 16, anche se poi è emerso che il bagnino – difeso dall’avvocato Pietro Soddu – andava da prima.

Proprio l’avvocato Soddu, sollecitando anche lui la memoria del teste, ricorda a quest’ultimo che a suo tempo aveva riferito ai carabinieri che nella piscina c’erano diversi avvisi sugli orari di apertura e di chiusura delle piscina, e che la presenza del bagnino fosse garantita solo a partire dalle 16.

L’avvocato Salvatore Pinna, che tutela il responsabile civile, ovvero i proprietari della struttura, chiede invece al teste se ricorda che il bambino nei momenti precedenti la caduta in vasca, stesse maneggiando un paio di occhialini. Il teste risponde di sì. Secondo quanto era emerso all’epoca, infatti, il bimbo poteva essersi buttato in piscina proprio per recuperare gli occhialini che gli erano scivolati dentro. «Cosa stavano facendo i genitori? – dice il teste Bonini rispondendo alle domande del pm – erano stesi sui lettini che davano le spalle alla vasca, i lettini erano rivolti verso il sole». All’epoca aveva riferito che «il padre ascoltava la musica con le cuffiette, e la mamma stava parlando al telefonino, e che ogni tanto, però, davano una occhiata al bambino». Alla prossima udienza, il 12 gennaio, è attesa la sentenza. (v.g.)

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