La Nuova Sardegna

Nuoro

Omicidio di Cisco Chessa, si parte con 90 testimoni

di Valeria Gianoglio

Comincia il processo in Corte d’assise per il delitto di Orune del maggio 2005 In aula sono presenti sia l’imputato Taioli sia la moglie e i figli della vittima

16 ottobre 2015
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NUORO. Due file di giudici popolari, con il presidente Giorgio Cannas davanti a lui, i suoi due avvocati, Luigi Concas e Gianluigi Mastio a fianco, i suoi parenti più stretti in fondo all’aula che attendono con trepidazione l’esito dell’udienza, separati solo da qualche metro dai familiari della vittima, l’orunese Francesco Cisco Chessa, e dai legali di parte civile, Michele Mannironi e Angela Nanni. Maglioncino leggero, pantaloni scuri, quando varca l’aula al primo piano, sembra un giovane come tanti altri, Sergio Taioli. Ma per la legge, e per il gip Mauro Pusceddu che alcuni mesi fa ne aveva disposto il rinvio a giudizio, invece, il giovane originario di Sorgono deve affrontare un’aula di tribunale. Deve affrontarla come imputato di un processo in corte d’assise che proprio ieri, nel palazzo di giustizia di Nuoro, ha registrato la prima tappa di una serie di udienze già definita, che andrà avanti sino al mese di marzo 2016, tra perizie sulle intercettazioni telefoniche, e ben 90 testimoni da sentire, tra accusa e difesa.

Per l’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Andrea Vacca, “Taioli Sergio, nato a Sorgono il 12 marzo 1985”, è l’autore di un omicidio che dieci anni fa, a Orune, almeno per una certa corrente di pensiero, aveva fatto richiamare, sullo sfondo, lo spettro insistente della faida. Taioli era finito nel registro degli indagati, per l'omicidio di Francesco Chessa, un paio di anni fa e al termine di una indagine piuttosto complessa. A incastrarlo, secondo le forze dell’ordine, era stato un fucile calibro 12 che gli era stato sequestrato nell’ambito di un’altra indagine. Secondo le analisi effettuate, quella era l’arma che senza ombra di dubbio aveva sparato e ucciso Cisco Chessa. «Gli esami balistici eseguiti sull’arma – aveva scritto, infatti il gip Claudio Cozzella, che aveva disposto l’imputazione coatta di Taioli – hanno permesso di accertare che con quel fucile semiautomatico, marca Breda, modello Antares, sono stati esplosi, oltre ai bossoli rinvenuti presso l’abitazione di Angius Pietro, anche tre dei sei bossoli rinvenuti presso e repertati nei pressi dell’abitazione di Chessa Francesco, in data 18 maggio 2005. Dunque, il fucile sopraindicato, è stato utilizzato, tra l’altro, anche per l’assassinio di Chessa Francesco». Per l’accusa e per le parti civili, insomma, non ci sono alternative: o Taioli ha imbracciato il fucile e ha esploso lui i colpi che hanno ucciso Chessa, oppure deve dire a chi ha dato quel fucile. Di tutt’altro parere, ovviamente, la difesa agguerrita di Taioli, rappresentata dagli avvocati Concas e Mastio, che sin dall’inizio di questa vicenda giudiziaria, ieri mattina, ha lasciato intravedere qualche scorcio del suo futuro orientamento in aula. «La difesa voleva rinunciare a tutti i testi – ha spiegato, infatti, il decano dei penalisti sardi, Luigi Concas – a noi basterebbe la lettura degli atti». Ma il pm Andrea Vacca, quei testi, tiene invece a interrogarli in aula. Così, dalla prossima udienza, fissata per il 29 ottobre, il processo entrerà nel vivo con l’audizione dei primi nove testimoni, tra i quali i carabinieri che avevano eseguiti le indagini e l’anatomopatologo Vindice Mingioni, dei 72 contenuti nella lista del pm. I difensori di Taioli sono riusciti anche a scovare, e ad allegare alla lista dei loro 18 testi, i tabulati relativi alle telefonate fatte da Taioli sia prima, sia dopo l’omicidio Chessa. E quei tabulati, stando a quanto da loro ricostruito, proverebbero che Taioli fosse a Sorgono sia prima sia dopo il delitto.

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