La Nuova Sardegna

Nuoro

Festeggiato il decano dei vigili del fuoco

Vecchi compagni di lavoro e il nuovo comandante hanno trascorso una giornata con il centenario Quirico Manca

30 luglio 2015
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NUORO. Giornata oltre il placido tran tran della vita da centenario ieri per Quirico Manca, classe 1915, ex vigile del fuoco della squadra nuorese. Il vegliardo è tornato nella caserma di via Santa Barbara, dove ha svolto una parte della sua attività, dopo gli inizi nella prima sede dietro il Palazzo degli impiegati di via La Marmora. La compagnia dell’occasione è stata quella dei colleghi di lavoro (anche loro pensionati) dell’associazione nazionale dei Vigili del fuoco, che hanno iniziato a Nuoro la professione mentre Manca chiudeva il ciclo: il presidente Antonio Mereu, e poi Erminio Boneddu, Giannetto Gungui, Paolo Bini, Carmelo Piredda. Tutti a fare da corona al vegliardo, salutato anche da Fabio Sassu, il comandante provinciale dell’attualità, incuriosito non poco dei giorni da pompiere di Chirico Manca. Oggi il più anziano tra gli ex, dopo la scomparsa nel 2012 del novantottenne Frediano Papi, al cui ricordo è legata l’apertura del presidio dei vigili e anche il valore sportivo mostrato in tante gare nazionali di sollevamento pesi.

Le memorie del centenario, rappresentante dei Manca “Faragone”, parte proprio da quel 27 aprile del 1940, imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, quando il giovane Quirico prende servizio. Una scelta non scontata: «Ero perplesso. Mi sembrava di non essere in grado di svolgere quel mestiere, io che avevo fatto sempre il contadino, nei terreni di famiglia, nella zona di Mughina». Per lui insisteva il concittadino Mario Ruiu, brigadiere nella caserma nuorese: «Mi disse: “Dai, vedrai che andrà tutto bene, che imparerai il mestiere”. Il mio cruccio era di non riuscire a montare la scala che per un vigile è strumento di lavoro fondamentale». L’agilità lo aiuta e le perplessità vengono superate con il lavoro stesso. Il maggior impegno è durante l’estate, per via dei fuochi campestri. Il monte Ortobene è spesso in fiamme, anche se non sono gli incendi tragici di qualche decennio appresso: «Scattato l’allarme si partiva a piedi, armati di scope. Erano gli unici strumenti utilizzabili, considerato che il mezzo attrezzato non poteva salire per l’assenza della strada». La squadra partiva. Con Ruiu, Manca e Papi, Salvatore Seddone, Antonio Maccioni, Peppino Selloni, guidati da Pasquale Cocco, il comandante, di cui il vegliardo ancora oggi ricorda il carattere cordiale e la professionalità. Spesso la direzione presa era quella di “Sa Mendula”, verso oriente, dove per la casistica locale si sono sviluppati il maggior numero degli incendi sul monte. Sprezzo del pericolo, ma anche molta resistenza, per la quale peraltro c’era la cura costante dell’istruttore Frediano Papi. Si doveva essere comunque già predisposti, tanto che il corpo nazionale scartava giovani ragionieri o comunque diplomati, per preferire muratori, falegnami, carpentieri, che proprio per la manualità e mestiere specifico venivano scelti di volta in volta rispetto all’intervento da portare a compimento.

Nel ’68 Quirico Manca chiude l’attività, senza rimpianti: «Preso il congedo in caserma tornai a casa di corsa per la contentezza». Non senza comunque benedire il momento in cui aveva rotto gli indugi e deciso di arruolarsi. La “scala”, che per Manca è la raffigurazione fisica del lavoro del pompiere, dice, «mi ha dato il pane. La terra la dovevo lavorare per un obbligo anche morale, visto che avevamo la proprietà dei terreni e non andava svilita. Certo la zappa era dura». Se un piccolo rammarico si può segnalare, era legato al salario: «Non era granché, soprattutto quando lo confrontavamo con quello degli impiegati del Comune, con i quali avevamo una certa relazione».

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