La Nuova Sardegna

Nuoro

Analisi del Dna, prima risposta del perito

di Valeria Gianoglio
Analisi del Dna, prima risposta del perito

Il medico legale Ernesto D’Aloja: «Sullo scotch non ci sono tracce di un consanguineo in via paterna di Antonio Lai»

23 ottobre 2014
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NUORO. «Non è un consanguineo di Antonio Lai in via patri-lineare». Ernesto D’Aloja, su questo punto, non ha alcun dubbio. Il docente universitario, ordinario di medicina legale e direttore della scuola di specializzazione in medicina legale dell’università di Cagliari, risponde così, dunque, al primo dei tre quesiti che la corte d’assise di Nuoro nelle scorse settimane gli ha posto dopo avergli affidato una perizia piuttosto delicata al processo per l’omicidio di Dina Dore.

Il perito, secondo l’incarico ricevuto dalla corte d’assise, in queste settimane deve in sostanza accertare se quanto ha appurato il consulente della difesa, Andrea Maludrottu, corrisponda o meno al vero. Maludrottu, dopo aver ricevuto l’incarico dagli avvocati di Francesco Rocca, Mario Lai e Angelo Manconi, e dopo essere riuscito ad analizzare un reperto biologico di Antonio Lai, papà del superteste Stefano Lai, aveva accertato che il Dna di Antonio Lai era compatibile, per via matri-lineare, con la traccia trovata sul Dna che avvolgeva la mano sinistra di Dina Dore. Secondo il consulente della difesa, tradotto in parole povere, chi aveva lasciato il suo Dna su quel pezzo di scotch era un consanguineo di Antonio Lai dalla parte della mamma.

La risposta che il perito della corte d’assise, Ernesto D’Aloja, dà al primo quesito che i giudici gli hanno posto qualche settimana fa è stata depositata proprio in queste ore nella cancelleria della corte d’assise, e stabilisce un punto fermo. «Antonio Lai – scrive il perito – non è geneticamente compatibile con alcuno dei profili biologici non appartenenti alla vittima e attribuibili a individui di sesso maschile identificati dalle analisi eseguite dalla dottoressa Asili (l’esperta della polizia scientifica che per prima aveva analizzato il Dna, ndr)». D’Aloja stabilisce anche che «nessuno dei tre aplotipi del cromosoma Y identificati sul materiale in giudiziale sequestro è riconducibile a un consanguineo per via patrilineare di Antonio Lai».

Ma aggiunge anche che «l’ulteriore fase dell’indagine affidata a questo perito, prevederà l’analisi dei reperti in giudiziale sequestro al fine di identificare eventuali ulteriori tracce non analizzate nella fase delle iniziali indagini ed estendere, ove possibile, l’analisi al mtDna al fine di fornire un giudizio sulla possibilità che la traccia sia riferibile a un consanguineo di Antonio Lai per via matrilineare».

D’Aloja, insomma, esclude la compatibilità con un consanguineo di Antonio Lai per via paterna, ma non esclude che, come ha accertato il consulente della difesa, Andrea Maludrottu, «nell’ulteriore fase» delle analisi che gli ha affidato la corte d’assise possa scoprire che «la traccia sia riferibile a un consanguineo di Lai per via matrilineare».

Si tratta, certamente, di una materia complessa e delicata, attorno alla quale si gioca una parte importante del processo per l’omicidio di Dina Dore, e il destino giudiziario del marito Francesco Rocca, imputato come mandante del delitto.

Questa mattina, nella nuova tappa giudiziaria del processo,Ernesto d’Aloja illustrerà alla corte d’assise e alle parti questi primi accertamenti che ha fatto. All’udienza sarà presente anche il consulente della difesa, Andrea Maludrottu. In aula, insomma, si prevede un nuovo confronto tra esperti genetisti. Sempre oggi la corte d’assise dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta della difesa di sentire alcuni testimoni.

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