La Nuova Sardegna

Nuoro

«La limba nelle scuole non ha alcun senso»

Luciano Piras
«La limba nelle scuole non ha alcun senso»

Giulio Concu, editor nugoresu e insegnante di letteratura inglese: «Il sardo è ancora vivo perché è parlato in famiglia e per strada»

12 maggio 2012
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Sa limba sarda è viva o è morta e sepolta?

«Una lingua è morta se non esiste più al mondo alcuna persona che la parli. Se ne esiste anche soltanto una, quella lingua non è morta. In secondo luogo, una lingua è un modo di pensare e di vivere il mondo; di conseguenza se c’è anche una sola persona che pensa in quella lingua, significa che quella lingua – il sistema comunicativo e quel modo di vivere – non è morta. Questo vale per la nostra limba sarda come per qualsiasi altra lingua del mondo».

Volenti o nolenti però sa limba è diventata una lingua imbastardita...

«“Imbastardita” è già un aggettivo che sottintende un concetto linguistico di “purismo” che recita: c’è una limba antica e pura, il resto non è limba. Ma diciamocelo francamente: se intendiamo con sa limba quella parlata dai nostri bisnonni, viene istintivo dichiarare che è morta, senza alcun dubbio. Qui sta il paradosso: se la si parla non è morta, semplicemente è cambiata, continua e continuerà a cambiare, perché è una lingua viva, che irrimediabilmente diventerà altra e non necessariamente è destinata a morire. Insomma, il nostro ragionamento dovrebbe basarsi su un fatto concreto: sa limba parlata dai nostri avi non c’è più, esiste però una limba che è ancora viva».

Se è vero che la lingua è identità, qual è l'identità dei sardi?

«Chiediamoci se sia mai esistito un “popolo sardo”... ».

Chiediamocelo, allora...

«Storicamente non c’è mai stata un’unione completa delle differenti genti che popolavano l’isola. A meno che non si torni indietro fino ai nuragici, che probabilmente vissero una certa conformità culturale. Ma possiamo dire che i costruttori di nuraghi fossero “sardi”?».

Non lo erano?

«No che non lo erano... nuragici, non sardi!».

Ma quante lingue ci sono in Sardegna?

«Praticamente ogni paese ha la sua variante linguistica».

Un segno evidente della divisione delle genti sarde? Pocos, locos y mal unidos?

«Forse. Ma se la vediamo positivamente, è un segno della ricchezza del pensiero dei sardi. Che però finora ha dato pochi frutti ma in futuro chissà».

È comunque un problema insegnarla a scuola, la lingua sarda?

«Basterebbe non insegnarla. Tant’è che il dibattito sull’insegnamento del sardo a scuola non ha portato a nulla. È una lingua che non può entrare in aula... ».

Perché?

«Qualsiasi azione di insegnamento dovrebbe avere come base una domanda fondamentale: che scopo ha insegnare quella determinata materia? Se insegno geometria ai futuri geometri è perché devono conoscere la differenza tra seno e coseno. Se insegno italiano a un sardo è perché la Sardegna da 150 anni fa parte dell’Italia, nolente o volente. E se insegno il sardo? Che senso ha?».

Che senso ha?

«Se trovassimo la risposta capiremmo come e dove insegnarlo, il sardo. Ma risposta non se ne trova, il desiderio di introdurre l’insegnamento del sardo nelle scuole sembra per ora una risposta istintiva a un sentimento purista e conservatore, linguisticamente parlando, che purtroppo non ha però una fondamento logico».

Dunque?

«A chi serve il sardo insegnato in aula? Per farne cosa? Per aumentare l’offerta didattica? Per tirare dentro qualche soldino per insegnanti a corto di ore? Non trovo nessun senso per cui il sardo – e quale sardo, poi? – debba essere insegnato a scuola e non a casa o per strada, come avviene da sempre».

E i vari Ufitzios? Ognuno con il “suo” sardo?

«Non sono un purista della lingua, reputo che il bilinguismo o il plurilinguismo sia una ricchezza, non una perdita. Credo che l’esperimento de sos Ufitzios (con “tz” o solo “z”?) sia comunque interessante. È importante sempre e comunque avere la possibilità di scegliere tra diverse maniere di vivere e quindi anche di parlare. Sarebbe tragico se qualcuno costringesse tutti gli abitanti della Sardegna a parlare solo in sardo. O solo in italiano. È interessante in questo senso avere una lingua ufficiale che è l’italiano, ma tentare di non perdere la propria lingua madre, seppure forzando le cose con una sorta di esperanto sardo. Il problema è il purismo della lingua: credere che una lingua, e il suo utilizzo possano rimanere immutati».

Che ruolo hanno Facebook e Twitter nella diffusione e valorizzazione del sardo?

«Esistono tante pagine interessanti sulla lingua sarda sui social network, sulle sue varianti e persino sul sassarese e sul gallurese. Come tutte le cose, anche questa ha la sua utilità, ma credo che questi strumenti tecnologici dal punto di vista della diffusione non abbiano molto peso per sa limba. Mi pare che le parole “face/book, social/network” non siano sarde… facciamo un social tutto sardo? Lo chiamiamo retza sotziale! Sul web l’inglese tecnico è preponderante, schiacciante. Il sardo resta una lingua parlata, in famiglia e per strada, e lì viene trasmesso ancora oggi, nel 2012».

Ma ormai tutto il mondo parla in inglese...

«Non tutto. Anche se l’Inghilterra e gli Usa lo vorrebbero… Scherzo. Non c’è alcuna ragione linguistica particolare per il fatto che l’inglese sia divenuto la lingua di comunicazione internazionale. Non è una lingua più facile o più difficile di altre, non è né più bella né più brutta... ».

È comunque la lingua più diffusa al mondo...

«Le ragioni della sua diffusione sono legate alla politica di espansione della monarchia britannica – al colonialismo insomma –, attuata a partire dal Settecento, per cui l’inglese si è diffuso dall’Australia all’India, dal Pakistan al Sud Africa e all’America. Insomma, ragioni puramente di egemonia economica. Diventata nel tempo egemonia economica e politica degli Stati Uniti, che soprattutto con la tecnologia ha imposto l’uso di un americano tecnico… Col crescere dell’egemonia economica della Cina, magari fra dieci anni saremmo “costretti” a imparare il cinese… ».

Quanto potrà durare ancora sa limba sarda?

«Durerà fino a che ci sarà un sardo che penserà in sardo e parlerà in limba. Anche quella influenzata dall’inglese, dal cinese, da internet e dagli sms. Per i linguisti è triste pensare alla morte di una lingua, perché la morte di una lingua significa anche la morte di quella cultura di cui la lingua era il veicolo. Ma quanto duriamo noi? Quanto durano le cose sulla terra? Questa è la questione. Tutto cambia e tutto passa. Non penseremo che i sardi e la loro limba siamo eterni? Spero di no. Sarebbe davvero una grande illusione».

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