La Nuova Sardegna

Nuoro

Il popolo dei nuraghi oggi vive in Ogliastra

Antonello Sechi
Guido Barbujani
Guido Barbujani

Paleogenetica, il Dna delle origini: lo studioso Guido Barbujani ha presentato a Orosei i risultati di uno studio su antichi resti. Confrontato con quello dei contemporanei il genoma estratto dai denti di ventitré individui scoperti in sei siti archeologici

24 agosto 2007
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OROSEI. C’è ancora un popolo dei nuraghi in Sardegna? Finora si potevano solo fare congetture. Adesso c’è una prova scientifica: i sardi che hanno nelle vene la maggior quantità di sangue nuragico vivono in Ogliastra. Il dato è clamoroso: il 56 per cento delle varietà di Dna conosciute del popolo che abitava la Sardegna tra il 1500 e il 700 avanti Cristo, in particolare quello di sei donne della zona tra Perdasdefogu e Seulo, è presente nelle cellule degli ogliastrini moderni. Per capirne il valore basta un confronto: in Gallura, dove il viavai di forestieri è sempre stato elevato anche prima della Costa Smeralda, la percentuale di Dna nuragico presente nella popolazione scende al 18 per cento, quello medio di una qualunque popolazione europea.

 A raccontare questa storia, a dire che i nuragici sono ancora tra noi mentre gli etruschi, per dire di un altro popolo antico, si sono estinti, è Guido Barbujani, professore di genetica dell’Università di Ferrara. È stato lui a coordinare il gruppo di lavoro che si è preso la briga di sequenziare il Dna dei nuragici e di confrontarlo con quello dei sardi contemporanei.

 Il lavoro, recentissimo, è stato pubblicato sul numero di agosto della rivista scientifica “Human genetics”. La prima presentazione in pubblico è avvenuta l’altro ieri sera nel lussureggiante e affollatissimo cortile di Casa Cabras, l’ex caserma regia di finanza trasformata in una delle più affascinanti abitazioni del centro storico di Orosei.
 Barbujani, che i più hanno conosciuto la sera prima in tivù ospite di Patrizio Roversi e Siusy Blady, ha aperto le “Serate di archeologia” organizzate da Gianfranco Bangone, oroseino e direttore del bimestrale “Darwin”. Un esordio con il botto per una rassegna dedicata alla scienza che proporrà altre due serate oggi e il 28 agosto e che coltiva la segreta ambizione di diventare un appuntamento fisso dell’estate isolana.

 La paleogenetica è una scienza giovane e i nuragici, adesso, fanno parte di un circolo ristretto. «Finora - spiega Barbujani - studi simili erano stati fatti per gli etruschi e gli iberici. Abbiamo scelto la Sardegna perché è una delle popolazioni geneticamente più interessanti e perché qui abbiamo campioni ben datati».

I campioni in questione sono 106 denti appartenenti a 53 esponenti del popolo dei nuraghi. Sono stati prelevati in una tomba dei giganti di Santa Teresa di Gallura e in cinque grotte di Perdasdefogu, Seulo (Stampu Erdi), Fluminimaggiore (Capo Pecora), Carbonia (Su Cungiareddu ’e Serafini) e Alghero (Lu Maccioni). Il Dna è materia da trattare con attenzione, il rischio di contaminazioni e di fare confusione è elevato. È lo stesso Barbujani a citare il caso più clamoroso. «Nel 1994 - spiega il genetista - un americano, Scott Woodward, annunciò di aver sequenziato il Dna dei dinosauri. Poi si scoprì che c’era stata una contaminazione». Si dimostrò che si trattava di Dna umano, l’inquinamento di chi aveva trattato i frammenti ossei. Una figuraccia ma in quel momento sembrò confermare l’intuizione di Michael Crichton, che aveva scritto il libro, e di Steven Spielberg che aveva appena girato il film “Jurassic Park”. I campioni dei nuragici sono stati perciò trattati con la massima accuratezza. «Per sicurezza - chiarisce Guido Barbujani - abbiamo scartato trenta individui e ci siamo concentrati sugli altri 23».

L’operazione ha coinvolto i ricercatori di varie università, comprese quelle di Cagliari e Sassari. Il gruppo di lavoro si è messo sulle tracce del Dna mitocondriale «che - spiega il genetista - si trasmette da una generazione all’altra solo per via materna e resta invariato, a differenza di quello del nucleo della cellula». Barbujani e il suo gruppo di lavoro sono certi di aver individuato sei progenitrici nuragiche, sei donne che attraverso figlie, nipoti, pronipoti ecc., di generazione in generazione hanno tramandato i loro geni fino a oggi. 

Le sequenze genetiche dei 23 abitanti dei nuraghi sono state confrontate con quelle antiche conosciute (etruschi e iberici) e con 57 moderne di Europa, Asia e Nord Africa. Tra queste, ovviamente, quelle della Sardegna individuate dagli studi di Luca Cavalli Sforza e di Mario Pirastu.

I risultati sono affascinanti. Da un lato - dicono Barbujani e il suo gruppo di lavoro - appare evidente che i nuragici, sia pure sparsi su un territorio molto vasto come la Sardegna, presentano un affinità genetica. Lo sono anche a 700 anni di distanza, quelli che passano tra i campioni prelevati nei siti più antichi e in quelli più recenti. La conseguenza, ovvia, è che il popolo dei nuraghi discendesse da un unico gruppo etnico, imparentato per via materna. «Alcune di quelle sequenze genetiche - aggiunge il paleogenetista - compaiono in altre zone del bacino del Mediterraneo, nel nord dell’Africa ma non solo».

L’altra osservazione è quella che riguarda chi, tra i sardi, può essere definito più vicino ai nuragici. La risposta, appunto, è che sono gli ogliastrini. «Il dato - dice Barbujani - è notevole. Nella popolazione attuale dell’Ogliastra, troviamo più della metà delle sequenze genetiche nuragiche. In particolare quelle dei siti archeologici di Perdasdefogu e di Seulo. All’estremità opposta c’è la Gallura, dove troviamo percentuali molto più basse, le stesse di qualunque campione europeo».

Dunque, l’Ogliastra e l’interno dell’isola conservano, oltre ai nuraghi, anche i geni del popolo che oltre 3500 anni fa ha cominciato a costruire le grandi torri di pietra e i villaggi che le circondano. Quello che non succede in Toscana, dove un analogo studio sugli etruschi ha permesso di ritrovare tra gli attuali abitanti dell’antica Etruria solo due sequenze genetiche su 23.

La ricerca non risponde al mistero sulla provenienza dei abitanti dell’isola che, secondo i dati archeologici, sarebbero ricomparsi 12-14mila anni avanti Cristo, dopo un “buco” enorme rispetto alle prime forme di presenza umana datate a circa 500mila anni fa. «Le origini dei sardi? Alla luce degli strumenti di cui disponiamo ora - conclude Barbujani - faccio fatica a rispondere. Questa è ancora materia per gli archeologi».
 

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