La Nuova Sardegna

Cagliari

Cassazione, omosessuale pakistano ha diritto alla protezione

Il palazzo di giustizia di Cagliari
Il palazzo di giustizia di Cagliari

Annullata la sentenza della Corte d'appello di Cagliari che  non aveva riconosciuto determinante la condizione del giovane

24 aprile 2017
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CAGLIARI. Cassando una sentenza della Corte d'appello di Cagliari del 4 marzo 2016, la Corte di Cassazione ha ricordato ai giudici che, ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l'omosessualità sia considerata un reato nell'ordinamento giuridico del Paese di provenienza è rilevante «costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali».

I giudici devono raccogliere le prove sulla dichiarazione di omosessualità della persona straniera che chiede protezione in Italia, verificando poi come si pone la legislazione dello Stato di provenienza nei confronti delle scelte sessuali degli individui. Questo perché se la nazione di provenienza ritiene l'omosessualità un reato, viene compromessa la libertà della persona e questo la pone «in una situazione di oggettiva persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta». È quanto sancito da un'ordinanza della suprema Corte, che ha annullato una sentenza di secondo grado che aveva confermato il rifiuto della protezione internazionale ad un pakistano omosessuale.

Accogliendo il ricorso dell'avvocato Alessandro Corda, la sesta sezione della cassazione presieduta da Massimo Dogliotti ha ordinato che la vicenda torni in Corte d'appello a Cagliari, ma venga discussa e decisa da un'altra sezione. In un contenzioso che vedeva contrapposto il giovane pakistano con il Ministero dell'Interno, sia il giudice sardo di primo grado che il collegio di secondo avevano confermato il rifiuto del riconoscimento della protezione internazionale al giovane che si era dichiarato omosessuale, rischiando, se rimandato nel suo paese, di finire in carcere a causa delle sue scelte sessuali. Davanti alla Suprema corte il difensore ribadito che il suo assistito avrebbe rischiato la detenzione a vita.

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