La Nuova Sardegna

Cagliari

Cagliari, questionario sullo screening

Una ricerca condotta fra uomini e donne dimostra una conoscenza superficiale degli effetti della campagna di prevenzione attraverso gli esami su vasta scala per porzioni di popolazione

06 giugno 2015
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CAGLIARI. In tema di informazione sull’efficacia dei programmi di screening, il docente universitario Ezio Laconi ha svolto un’indagine attraverso un questionario anonimo rivolto a cittadini di Cagliari e dell’hinterland. Lo studio è stato portato avanti grazie all’entusiasmo di alcuni studenti del corso di laurea in Infermieristica, che hanno poi portato i dati come argomento della loro tesi di laurea. Hanno anche collaborato il Centro Prevenzione Oncologica della Asl 8 di via Romagna e il Poliambulatorio di viale Trieste a Cagliari.

Il questionario ha raccolto, oltre ai dati anagrafici degli intervistati (età, sesso, grado di istruzione, professione), informazioni sul grado di conoscenza dei programmi di screening e sulla loro eventuale adesione a tali programmi. Ma le domande più interessanti hanno riguardato due aspetti specifici dello screening: la loro efficacia nel prevenire la mortalità per tumori e la presenza di eventuali effetti collaterali indesiderati, ossia conseguenze negative che potrebbero derivare dall’effettuare lo screening.

I risultati emersi si possono così riassumere. La quasi totalità degli intervistati (circa 250 donne e uomini di età compresa tra 28 e 75 anni) dichiara di essere a conoscenza dell’esistenza dei programmi di screening, e in più della metà dei casi ne ha discusso con il proprio medico. Circa due intervistati su tre, inoltre, ha effettuato almeno un test di screening o aderisce a uno dei programmi attualmente offerti (screening per la mammella, il collo dell’utero e il colon-retto), a testimonianza del fatto che le campagne di sensibilizzazione hanno sortito un effetto importante.

L’informazione si è invece rivelata molto carente sul fronte dell’efficacia degli screening, che viene decisamente sopravvalutata. Una non trascurabile fetta di intervistati (circa 1 su 5) ritiene che lo sottoporsi allo screening riduca a zero la possibilità di sviluppare un tumore grave che può portare a morte, mentre per 3 intervistati su 4 tale possibilità si riduce di almeno la metà. Tali aspettative sono decisamente superiori al dato reale, che mediamente non supera il 20-25 percento. Cioè, se ipotizziamoche tra mille donne che non effettuino lo screening 4 o 5 moriranno di cancro alla mammella, tale numero si riduce a 3 o 4 nel caso che partecipino allo screening.

L’altro aspetto sul quale vi è una consapevolezza molto scarsa o del tutto assente è quello sui possibili effetti negativi dello screening, tra cui spicca il problema delle diagnosi eccessive. Praticamente la totalità degli intervistati ignora completamente l’esistenza di tali rischi, mentre per circa il 10 per cento l’unico aspetto negativo è costituito dallo stress psicologico legato all’effettuazione del test.

Questi dati destano preoccupazione in quanto testimoniano una percezione molto distorta dell’impatto dei programmi di screening. Emerge infatti che essi siano recepiti dal pubblico come un qualunque prodotto commerciale del quale si cerchi di promuovere la vendita: ne vengono sottolineate le doti e le virtù, mentre vengono messi in secondo piano o celati del tutto i limiti e le controindicazioni.

La valutazione offerta dal professor Laconi centra la necessità di rivedere le modalità di comunicazione riguardanti i programmi di screening, in modo che tutti i cittadini (soprattutto le donne) siano messe in grado di compiere scelte consapevoli e ponderate su tematiche riguardanti la propria salute.

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