La Nuova Sardegna

Cagliari

Zona franca, i comitati: «L’Europa deve dirci sì»

di Umberto Aime
Zona franca, i comitati: «L’Europa deve dirci sì»

Maria Rosaria Randaccio: «È l’ultima occasione per ottenere quello che ci spetta». Oltre ventimila iscritti al gruppo Facebook ZonaFranca e trecento sindaci in campo per far pressione sulla Regione

13 marzo 2013
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CAGLIARI. La zona franca è il suo credo. Anzi, è «l’unica possibilità» per «salvare la Sardegna dalla povertà, dall’emigrazione e dallo spopolamento» e «sperare in un futuro migliore». Maria Rosaria Randaccio è una pasionaria del tema ma anche di debito pubblico ed Equitalia. Sul campo e dalla Rete, è stata eletta guida spirituale di un esercito che vuole riconosciuto il diritto di pagare la benzina meno rispetto alla terra ferma e anche la «possibilità di portare a casa un’infinità d’ investimenti che cambierebbero la faccia dell’isola, da Porto Torres a Cagliari». È dal lontano 1948, l’anno dello Statuto, che i sardi inseguono il sogno e Maria Rosaria Randaccio è secca nel dire: «Ora o mai più».

Perché?

«C’è una scadenza. Dopo il 24 giugno, entrerà in vigore il nuovo codice europeo doganale e le zone franche, come la nostra, saranno declassate a inammissibili aiuti di stato».

Sarà un colpo di spugna?

«Esatto. Per fortuna la Regione, a febbraio, ha inviato una lettera a Bruxelles e dichiarato che vuole avviare dopo 60 anni e più l’area di vantaggio fiscale. Finalmente c’è stato un atto concreto ed è quello che mancava».

E se l’Europa dovesse rispondere picche?

«Non può. Ci sono un’infinità di leggi a nostro favore. Può prendere solo atto che la Sardegna vuole diventare franca, com’è scritto in vari trattati internazionali, nello Statuto sardo, nei decreti legislativi dello Stato, nel vecchio codice doganale europeo e anche nel testo unico nazionale che regola i dazi, le accise, l’Iva e tutte le imposte dalle Alpi fino alle isole. La Sardegna è blindata e deve diventare tutta zona franca».

D’accordo, ma dalle nostre parti si è scatenata subito una polemica sui modelli. Qual è quello giusto?

«Sono discussioni inutili. La zona franca è una sola e deve essere extradoganale, senza confini, per tutta la vita e dal doppio binario: uno a favore della produzione, l’altro per il consumo. E fra questi modelli, come qualcuno vuol far credere, non c’è contrapposizione, bensì integrazione».

Serve un chiarimento.

«Eccolo. Intorno ai sei porti franchi della Sardegna, Olbia, Porto Torres, Oristano, Portovesme e Cagliari, dobbiamo immaginare delle aree, queste sì recintate, dove chi vuole e a certe condizioni potrà depositare le merci senza pagare dazi e altre imposte di transito».

Depositarle e basta?

«No, potranno essere anche lavorate e assemblate, come previsto dal codice europeo. Oltre ai vantaggi doganali, alle imprese dovremo offrire altri benefici fiscali, penso all’Irpef ridotta in base al numero delle assunzioni, e ancora servizi di qualità e zero burocrazia. Ed è questo il pacchetto che da sempre fa gola agli investitori. Dove c’è, ha fatto la fortuna di qualunque zona franca del mondo, dagli Stati Uniti alla Spagna. Perché attrae capitali, produce ricchezza e posti di lavoro».

Ma quelle merci potranno essere vendute in Sardegna?

«No, saranno solo in transito e quindi sottoposte a un regime doganale e fiscale speciale. In altre parole, godranno di quello che definirei uno status extracomunitario».

Bene. Poi c’è la zona franca destinata al consumo.

«Esatto, anche quella prevista da non so più quanto tempo da leggi, decreti e codici. Dunque, è un secondo diritto acquisito dalla Sardegna e non è alternativo al primo».

Serve una seconda spiegazione.

«Eccola. Qui non si parla più d’imprese, chi godrà del beneficio fiscale saranno i cittadini. È previsto per compensare chi vive nelle regioni europee svantaggiate. In Europa, dalle Azzorre alle Canarie. In Italia, da Livigno alla Valle d’Aosta o Trieste e poi di recente è stato infilata anche Gioia Tauro».

I vantaggi per i sardi?

«Che un lungo elenco di beni, dalla benzina al cioccolato, dall’alcool ai profumi, alle macchine fotografiche e anche i televisori, non saranno più gravati dall’Iva e dalle accise. Dunque, costeranno molto, molto meno».

Sarà così in tutta la Sardegna o solo nei porti franchi?

«Dappertutto, visto che siamo un’isola e il mare è la nostra barriera doganale. Aggiungo: dovrebbe essere già così da sessant’anni e più. Solo che finora non abbiamo fatto valere questo nostro diritto e la Sardegna non è nell’elenco delle zone franche ammesse dall’Europa, la Sardegna non c’è ancora. Ora con la delibera di febbraio, in extremis abbiamo colmato il vuoto, cioè ci siamo attivati. Finalmente».

Ma questo modello significa che anche avvocati, albergatori e rappresentati in Sardegna saranno esenti dall’Iva?

«Perfetto. Anche per loro lavorare da noi sarà più vantaggioso e redditizio».

Eppure c’è chi dice: l’Iva non pagata provocherà una voragine nell’entrate dell’isola.

«È sbagliato. Perché a quel punto sarà la Sardegna, con un’agenzia autonoma, a riscuotere i tributi, senza aspettare che lo Stato ci restituisca chissà quando la parte che ci spetta di Iva e Irpef. Tra l’altro cambierà anche il nostro rapporto fiscale con l’Italia visto che saremo obbligati a trasferire una percentuale d’imposte molto più bassa. Senza dimenticare che fra produzione e consumo, all’interno della zona franca, ci sarà più del triplo di benessere».

Chi stabilirà quali beni costeranno meno?

«La Regione, in accordo con lo Stato e tutti potranno comprarli. Anche i forestieri, seppure a certe condizioni».

Parliamo di tempi.

«Per la produzione dobbiamo aspettare che l’Europa prenda atto, entro giugno, del nostro diritto. Poi dovremo essere noi a mettere in moto la macchina, a cominciare dalla perimetrazione dei porti franchi, in cui potranno essere comprese le zone industriali. C’è chi ha saputo sfruttare da subito questo regime fiscale, la Saras e la Palmera».

E i tempi per quella al consumo?

«Direi pochi mesi, ma potremmo sfruttarla da subito con una comunicazione al ministero delle Finanze, ma non c’è fretta. Aggiungo una curiosità: potremo aprire anche i casinò».

Il suo appare un mondo perfetto: nessun svantaggio?

«I cascami fisiologici della criminalità. Nient’altro».

Proprio sicura che non ci saranno intoppi?

«Sono stata Intendente di Finanza, poi dopo la pensione ho diretto la Commissione tributaria, conosco le leggi a memoria e so che nessuno può scipparci un diritto costituzionale e sacrosanto. L’importante è che non continuiamo a farci del male da soli. Abbiamo già gettato via sessant’anni. Ora vogliamo la zona franca integrale con le buone o con le cattive».

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