La Nuova Sardegna

Cagliari

I nuovi dati dell’Istat: «In difficoltà trecentomila sardi»

di Alfredo Franchini
I nuovi dati dell’Istat: «In difficoltà trecentomila sardi»

Presentato un nuovo indicatore economico. Nell’isola aumentano le famiglie costrette a una vita «low cost»

12 marzo 2013
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CAGLIARI. Vite low cost tra crisi e deboli speranze. In Sardegna aumenta il numero delle persone che si trovano in difficoltà davanti a un imprevisto economico, alla necessità di ricorrere, non avendo risparmi, a un prestito. E’ quanto emerge dal Rapporto sul «benessere equo sostenibile», elaborato dall’Istat in collaborazione con il Cnel. Non i soliti dati: il nuovo acronimo, «Bes» è un indicatore destinato ad affiancare il Pil, (cioè la ricchezza complessiva)nella valutazione dello stato di salute di un popolo.

In Sardegna è a rischio di povertà relativa il 22,7 per cento delle 570 mila famiglie. In valori assoluti circa trecentomila persone. L’indagine Istat-Cnel rileva anche che il nove per cento dei residenti non riesca a far fronte a una spesa improvvisa di 800 euro, (ma anche all’impossibilità di fare una settimana di ferie). In questo caso, si tratta di 140 mila sardi.

«L’aumento della povertà è un fenomeno più consistente in Sardegna anche rispetto alle regioni del Mezzogiorno», afferma Mario Medde, segretario generale della Cisl sarda. «Al Sud, infatti, i dati sono stagnanti, da noi il rischio di povertà relativa è in continuo aumento ad avvalorare la tesi che la Sardegna sta attraversando un’involuzione senza precedenti».

Indicatori peggiori rispetto al Sud dove il sommerso è maggiore? «Il lavoro irregolare è presente anche in Sardegna», spiega Medde, «e non è certo un vantaggio quello delle regioni meridionali. La realtà è che le potenzialità di ripresa c’erano tutte e sono andate sprecate».

La parola che Medde mette al centro di tutto è recessione. E con la recessione non si scherza perché va a toccare i più deboli, i giovani e le piccole imprese senza tutela. Si può ancora credere in un Piano straordinario del lavoro? «Se guardiamo alla situazione dela giunta regionale, la speranza è molto debole», afferma Medde, «non c’è il tempo se si pensa che dopo l’estate, ci sarà già la campagna elettorale per le prossime elezioni. Come sindacato non smetteremo di chiedere una svolta e di mettere il lavoro al primo posto».

Secondo il «Bes», quindi, la «grave deprivazione» riguarda il 22,7 per cento delle famiglie sarde. Un dato che significa molte cose; vuole dire che sta aumentando l’indebitamento, che sono state intaccate le riserve (di chi le aveva), e soprattutto che stanno aumentando le diseguaglianze. Quest’ultimo indicatore è stato calcolato misurando il rapporto tra il reddito posseduto dal venti per cento della popolazione abbiente e il venti per cento delle persone più povere.

Vivere ai tempi della crisi significa ridurre quasi tutti i tipi di spesa, inseguire gli sconti dei supermercati, acquistare rigorosamente nel periodo dei saldi, tagliare le vacanze.

Cambia anche la vita quotidiana: limitate le uscite fuori casa, mangiare in ristorante è per molti un autentico lusso. Vite low cost, redditi netti inferiori, acquisti delegati al web (con possibilità di maggiori sconti) ma solo per i più giovani. Il ceto medio che negli anni Sessanta contribuì al miracolo economico, non esiste più, spazzato via. Diseguaglianze regionali che rischiano di trasformare quel 9 per cento di famiglie «a rischio» di povertà in una situazione di vera indigenza.

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