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Un fantastico esilio: «Dopo 15 anni come fai a non sentirti sardo?»

di Roberto Muretto
Un fantastico esilio: «Dopo 15 anni come fai a non sentirti sardo?»

Daniele Conti racconta la lunga e fortunata esperienza nell’isola

24 novembre 2012
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QUARTU. A casa ha una bandiera dei quattro mori. Non la espone sul balcone ma la conserva gelosamente. Guai a chi gliela tocca. Daniele Conti, capitano del Cagliari, in Sardegna ha messo radici. E’ sbarcato nell’isola 14 anni fa e non è più andato via. Il suo cuore si è colorato di rossoblù, tanto che sta decidendo di restare anche quando dirà basta col calcio giocato. Quello tra il centrocampista e il presidente Massimo Cellino è un amore che ha avuto alti e bassi, ma mai ci sono stati tradimenti.

Possiamo considerarla un sardo acquisito

«In parte sì. Sono qui da quasi quindici anni e ho fatto mie molte delle vostre abitudini. Il dialetto un po’ lo capisco, anche se non tutte le parole. Posso dire di sentirmi a casa e il mio futuro potrebbe essere proprio a Cagliari. L’idea di restare anche quando smetterò di giocare è concreta. La mia famiglia è favorevole».

Perchè qui si sta bene?

«La gente è cordiale, ti fa sentire subito a casa. Conosci una persona da uno o due giorni e ti sembra di conoscerla da sempre. Il bello di quest’isola è che certi valori non si sono persi come da altre parti».

Ha già pensato cosa farà quando dovrà dire basta?

«Sinceramente no. Ho quasi 34 anni, però fisicamente sto benissimo e finchè mi sento così, giocherò».

Magari potrebbe restare con un ruolo in società?

«E’ il mio sogno. Sarebbe bellissimo. Cagliari per me è stata una scelta di vita e non mi sono mai pentito di essere rimasto, anche quando ho ricevuto proposte interessanti».

Il suo rapporto col presidente Cellino?

«Intanto rispetto reciproco. Ci siamo sempre parlati con schiettezza. Tutti e due, lui più di me, naturalmente, siamo innamorati del Cagliari».

Molti calciatori quando smettono decidono di fare gli allenatori. Lei?

«All’inizio della carriera ho sempre detto che non mi sarei mai seduto in panchina. Adesso ho cambiato idea e confesso che non mi dispiacerebbe intraprendere questa strada. Ma è presto per parlarne, ho intenzione di giocare ancora per diversi anni».

Avere un papà famoso per lei è stato...

«Non ci crederà, un disturbo. Perchè tutti sia aspettano che il figlio ottenga gli stessi successi del padre e i paragoni sono continui. Per fortuna io gioco in un ruolo diverso dal suo e questo, in parte, ha evitato i confronti. E poi, lui è stato campione del mondo».

Qual è il consiglio di suo papà che non ha mai dimenticato e messo in pratica?

«Restare umile, lavorare e pensare sempre a migliorarsi. Soprattutto non sentirsi mai arrivato. Questo me lo ha ripetuto centinaia di volte».

Che interessi coltiva oltre il calcio?

«Il mio lavoro mi porta spesso a stare fuori di casa e trascorrere poco tempo con la famiglia. Quando sono libero mi dedico a loro, sto con i miei figli e mia moglie, sono completamente a loro disposizione».

La politica le piace?

«Per carità. Ogni tanto mi capita di sentire interviste o dibattiti, dicono tutti le stesse cose e i loro discorsi non mi affascinano per niente».

Per chi ha votato?

«Questo resta un segreto. Lo sa solo mia moglie».

Una convocazione con l’Under 21, mai con la nazionale maggiore. Si è dato una spiegazione?

«Non ci ho mai pensato. Sono sempre stato molto critico con me stesso, evidentemente non ho meritato di indossare la maglia azzurra. Ma non ho rimpianti, la mia nazionale è il Cagliari».

Almeno ci dica chi è il miglior giocatore italiano?

«Andrea Pirlo. E’ fantastico quello che sa fare con la palla tra i piedi. Calciatori come lui non ce ne sono tanti in circolazione. Credo che in questo momento sia lui l’espressione più bella del nostro calcio».

Il Cagliari in Europa. Un sogno, una possibilità concreta o che cosa?

«Mi auguro che questo accada, soprattutto adesso che abbiamo uno stadio nuovo e c’è grande entusiasmo. Però non è un’ossessione. Se succede bene, altrimenti mantenere la categoria per noi resta l’obiettivo principale. Il nostro presidente è uno che conosce bene il mondo del pallone e sa come gestire il club, saprà lui quando è arrivato il momento di puntare al salto di qualità».

Ha un ricordo particolare che le è rimasto impresso?

«La vittoria a Torino con la Juventus, il gol al Napoli. Sono momenti che non dimenticherò mai».

Lei è a Cagliari da tanti anni, con chi ha legato di più?

«Agostini di sicuro. Quando è andato via mi è dispiaciuto. Poi Cossu e Pisano sono quelli con i quali ci conosciamo meglio. Ma in linea di massima sono sempre andato d’accordo con tutti i compagni».

Lei ha giocato tanti anni con Lopez. Ora se lo ritrova allenatore. Come lo chiama?

«Mister, altrimenti si arrabbia. E’ chiaro che ci diamo del tu, abbiamo combattutto tante battaglie insieme. Però quando si lavora siamo tutti uguali, non ci sono differenze. Certo, mi fa un po’ effetto vederlo dare ordini».

A lei tutti la chiamano capitano. Che effetto le fa?

«E’ una responsabilità e un grande onore esserlo di una squadra che ormai è dentro il mio cuore.

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